Dal sito del Consiglio Nazionale dei Chimici
di Pierluigi Barbieri
Presidente dell’Ordine dei Chimici di Trieste
Ogni inverno veniamo aggiornati dai media a
proposito della qualità dell’aria che respiriamo nelle nostre città e campagne.
Citando le più autorevoli agenzie internazionali si evidenziano quali siano in
particolare gli importanti e diffusi effetti dell’inquinamento atmosferico
avversi alla salute, con l’intento di mantenere i cittadini informati ed
aggiornati anche sulle misure adottate dalle autorità ed istituzioni per la
tutela della salute pubblica. Nonostante le politiche europee sulla qualità
dell’aria abbiano indotto miglioramenti importanti a proposito, annualmente la
cronaca recente mostra come vari centri urbani italiani superino i limiti
indicati dalla legislazione europea per il particolato atmosferico PM10 e
PM2.5. Tali limiti risultano comunque più alti rispetto alle concentrazioni
raccomandate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
L’aumento delle concentrazioni di
polveri nella bassa atmosfera segue infatti tendenze stagionali, con situazioni
generalmente peggiori in inverno a causa dell’attività di sorgenti come il
riscaldamento. Un’altra causa sono i fattori meteorologici, come la riduzione
dell’altezza dello strato atmosferico di rimescolamento, che condiziona il
volume d’aria in cui si diluiscono gli inquinanti emessi dalle attività civili
e produttive. Nei casi critici invernali, frequenti in val Padana, si possono
avere concentrazioni di fondo regionale alte, in considerazione della
stagnazione delle masse d’aria, della scarsa altezza dello strato di
rimescolamento, di basse velocità del vento in particolare durante la notte con
accumulo in particolare di componenti secondarie come nitrato e solfato
d’ammonio e particolato carbonioso secondario.
Interventi che vorrebbero essere mirati
alla riduzione delle emissioni di una singola tipologia di sorgente ma che di
fatto risultano circoscritti nel tempo e nello spazio, come ad esempio le
interruzioni o riduzioni del traffico per poche giornate nelle aree urbane,
risultano poco o per nulla efficaci nel ridurre le concentrazione in massa di
polveri nell’aria. Si può considerare che la distribuzione dimensionale del
particolato nei periodi critici risulta costituita in modo spesso preponderante
da particelle fini e ultrafini secondarie, che possono formarsi in atmosfera da
precursori gassosi e che non possono venire efficacemente rimosse per
deposizione secca nell’arco di singole giornate. La riduzione del traffico per
periodi anche brevi può tuttavia avere comunque degli effetti benefici sulla
riduzione della frazione carboniosa (black carbon) nelle polveri, che
risulta associata a effetti sanitari.
Un contenimento delle componenti
secondarie e primarie delle polveri per la soluzione di questo importante
problema sanitario - a cui sono attribuiti incrementi di mortalità e morbilità,
effetti cardiovascolari di aterosclerosi, riproduttivi, respiratori, neurologici
e cognitivi, nonché influenza su patologie come il diabete - richiede azioni
strutturali di sistema. Ciò potrebbe essere infatti perseguito con investimenti
che vanno anche nella direzione dell’efficientamento energetico e della
sostanziale riduzione di emissioni di precursori del particolato come gli
ossidi d’azoto e molecole organiche ossidabili, emessi da combustioni ad oggi
impiegate nei trasporti e nel riscaldamento, e il controllo delle emissioni di
azoto ammoniacale da allevamenti e fertilizzanti. Servono quindi adeguate
campagne di informazione e formazione preventive, per il coinvolgimento della
società intera verso nuove forme di economia, circolari e sostenibili. In
questa opera, già di fatto avviata, i professionisti chimici che operano nei
settori privato e pubblico, possono giocare un ruolo di sostanziale importanza.
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